Qual è la maniera perfetta di comunicare durante una pandemia? Probabilmente non esiste una risposta univoca, fatto sta che questa emergenza causata dal Corona virus ha sottolineato sempre più come la comunicazione sia fondamentale e non sempre viene utilizzata nel migliore dei modi da chi dovrebbe farne un uso attento.
A questo proposito abbiamo deciso di parlarne con Alfonso Amendola, sociologo e Professore associato di Sociologia dei processi culturali e Internet studies presso l’Università degli Studi di Salerno ed è Delegato del Rettore alla “Web Radio d’Ateneo”.
Prof allora come si sono comportati i nostri politici e le nostre istituzioni da un punto di vista comunicativo?
Devo dire che in una fase iniziale i politici hanno vissuto dentro una bolla di totale caos e, se mi è permesso, sostanziale stato d’ansia. E in parte è andata così un po’ per tutte le istituzioni (penso non solo alla politica ma anche al settore pubblico, aziendale, scolastico senza dimenticare quello sanitario). Gradualmente le cose si sono chiarite e, al di là di alcune follie che vogliamo unicamente legare alla “caratterialità” dei singoli la competenza comunicativa è diventata più centrata. Faccio un esempio su tutti la Tv di Stato che devo dire ha dato un taglio netto al qualunquismo da show biz e costruito (soprattutto nei palinsesti ulteriori) tantissimi modelli comunicativi interessanti: in particolar modo penso all’informazione e al sistema educativo).
Insomma Prof se dovesse dare un voto ai nostri politici che voto darebbe?
In generale un appena sufficiente tra il 5 e il 6. Sostanzialmente rimandati a settembre. Mi piace rimandare alle riflessioni di Jacquline e Milton Mayfield (due coniugi USA, studiosi di comunicazione della leadership e autori del fondamentale “Motivating Language Theory”) che hanno indicato i temi centrali che un leader (politico, ma non solo) deve necessariamente possedere per dare il meglio di sé e per aver seguito: “direction-giving, meaning-making and empathy”. Ecco fin quando i nostri politici non saranno in grado di offrirci una direzione, una capacità di crear senso e una profonda empatia… il loro voto sarà sempre bassino (da “intelligente ma non si applica”).
Social network è solo una nostra idea oppure troppo spesso chi dovrebbe avere maggiore cura nell’utilizzarli fa l’esatto contrario?
Il Covid 19 ci ha fatto fare una spinta vertiginosa (e inter-generazionale)all’interno della (amata-odiata) Social Network Society. Lo “stato permanente di connessione” come lo definisce Giovanni Boccia Artieri ormai è in tutti noi. Ed è nostro obbligo non solo averne cura. Ma saperli utilizzare finanche gestire (come scriveva all’inizio del XXI Manuel Castel “dobbiamo occuparci delle reti altrimenti saranno loro ad occupare noi”). E allora affrontiamo con vigore e consapevolezza tutto ciò abbia a che fare con l’avanzamento tecnologico/relazionale. So bene che da questo tragico capitolo (socio-economico-sanitario) inevitabilmente ne usciremo molto confusi. Forse sazi da over informazioni da social network e storditi dal martellar televisivo. E probabilmente inizieremo una duplice dieta (quella con pochi grassi parallela ad una sana “digital detox”). Ma una volta per tutte capiremo il valore di tutta l’aggregazione collettiva e l’impegno di tanti che lavorano dietro le quinte per costruire socialità, creatività e consumi condivisi. Impareremo a dare un valore al tempo e a ridurre inutili riunioni (saremo abili e smart a definire impegni professionali utilizzando skype o altre combinazioni telematiche e non perché il demonio tecnologico si è impossessato di noi durante la quarantena ma semplicemente perché capiremo una volta per tutte che la vera innovazione digital è anche riduzione di perdite di tempo in riunioni oziose e improduttive).
Reale o non reale qual è il confine?
Domanda che si pone fin dalla nascita massiva delle tecnologie di massa. Per lungo tempo la distanza è stata totale (tranne per gli smanettoni o i nerd appassionati di “virtual reality” o “Augmented Reality” che ben sapevano che il virtuale è reale). Con la tragedia Covid 19 la distanza della linea di confine reale vs virtuale si è fortemente ridotta. Piaccia o non piaccia ma il confine è radicalmente diminuito. E questo oltrepassamento della distanza lo leggiamo nel lavoro, nella formazione, nelle abitudini quotidiane, nel discorso del business, negli spazi delle dinamiche interpersonali, nello soglie dell’affettività addirittura in quel capitolo tragico ma assoluto che è la morte (anch’essa divenuta social).
Ed i giornali? non trova che le principali testate giornalistiche abbiano in qualche modo beneficiato dell’emergenza dando nuova linfa alla lettura dei quotidiani?
Decisamente sì. I giornali, quelli seri non quelli facitori di fake news e figli della logica del clickbaiting, hanno davvero dato un punto di miglioria al proprio percorso. Continui approfondimenti e slancio di costante crossmedialità tra old e new media. Insomma, un bel capitolo di rinascita per la carta stampata.
Chiudiamo con un ultima domanda che riguarda tutti noi secondo Lei come cambierà il modo di comunicare fra di noi quando tutto questo sarà finito, torneremo a stringerci la mano e ad abbracciarci?
La comunicazione interpersonale inevitabilmente cambierà. Poi magari si tornerà alla “normalità” ma ci vorrà tempo. Nel frattempo dovremo coabiatare con l’immersione digitale, con la permanenza della “social distance” e con tante altre di tutela socio-sanitaria oltre che comunicativa, sociale e relazione. In alcuni paesi (Nuova Zelanda, Germania) già si parla di “tactical urbanism” ovvero dinamiche di trasporto pulito e a distanza come piste ciclabili a duplice larghezza e spazi pedonali ampli come quelli delle auto. In altri paesi (Olanda) tutto, ma veramente tutto, sarà spinto verso il concetto di “equità sociale”. Certo, nel tempo, gradualmente torneremo ad affollare bar e locali. E ristoranti: da quelli mare & monti a quelli d’oriente, da quelli glamour a quelli proletari “e qui comando io”. In massa torneremo ad affollare stazioni, aeroporti e viaggeremo armati di ritrovata curiosità. E torneremo a dar valore a tutto ciò che per troppo tempo abbiamo dato per scontato o per dovuto. E poi riassaporeremo la forza degli abbracci, dei baci, dei “come stai” a meno di un metro e riscopriremo tutta la sensualità tantrica dei corpi. E sentiremo come forza viva la complicità degli altri e dell’esserci assieme dentro questo benedetto mondo che amiamo soltanto quando lo vediamo marcire sotto la spazzatura o devastato da guerre o infettato da virus letali. E torneremo a sorridere fieri di una ritrovata “intelligenza collettiva” e con una magnifica “cura del sé” che ci renderà più belli, più saggi, più tolleranti, più socievoli e consentitemelo (sfidando tutte le retoriche antibuoniste) anche più buoni… Ma ci vorrà tempo. Dobbiamo saper aspettare.