Uno dei comparti che a seguito della pandemia ha subito i maggiori danni è quello dell’intrattenimento e in special modo quello del teatro.
Infatti lo stop imposto a seguito della pandemia, ha provocato perdite milionarie e ad oggi ancora non ci sono dati e date certe circa la riprese delle attività.
Un comparto che sta perdendo tantissimo a causa delle tantissime cancellazioni e abbonamenti saltati e che ha provocato risoluzioni di contratto a raffica per i suoi operatori che spesso sono anche esclusi dalle forme di sostentamento previste dallo stato per questa emergenza.
Vogliamo parlare di questo e di molto altro con Luisa Guarro, laureata in filosofia, autrice e regista teatrale, che vanta una lunga collaborazione con l’Associazione Osservatorio Palestina e collaborazioni internazionali con il Drama Theater di Ryazan (Russia) e il Wolfgang Borchert Theater di Munster (Germania).
Ciao Luisa sappiamo ed immaginiamo la situazione che tutto il comparto sta vivendo in questi mesi, la prima domanda che vogliamo farti è tu come stai vivendo questo momento quali sono le tue sensazioni personali al riguardo?
Il lockdown, la lotta comune e ad ogni costo per scongiurare il pericolo assoluto, ovvero “la morte di troppi”, aveva riportato alla luce l’universale condivisione del principio della sacralità della vita, al quale la politica per un momento ha dato la priorità assoluta, trovando l’appoggio pressoché indiscusso della popolazione e sottraendosi al ricatto delle ragioni economico finanziarie. Questo vantaggio momentaneo della politica sull’economia, d’altro canto, aveva reso immediatamente evidente l’incoerenza di un sistema che ti difende dal virus, ma non dall’avvelenamento, dai disastri ambientali, dalla fame, dalla deprivazione materiale e psicologica, per cui la rivendicazione della centralità della salute e del benessere si è subito legata ad una più ampia rivendicazione di giustizia sociale, emersa dal fondo delle nostre inquietudini. A quel punto si è palesato come principio universale, da perseguire, quello secondo il quale ogni vita sacrificata e ogni morte per incuria, merita il nostro sforzo collettivo, merita che si fermi il mondo, l’attenzione e la commozione di tutti, merita che si riuniscano tutti gli scienziati, poiché ogni morte ingiusta, ogni morte per disfunzione del sistema comunità umana, è una morte di troppo. È così che per un attimo anche io ho sognato che l’emergenza e la crisi portassero ad una radicale svolta socialista e ambientalista, guidata da un ritrovato sentimento di giustizia sociale, strettamente connesso al principio di sacralità della vita. Ma in Italia siamo anche lontani dal democratico riformismo Keynesiano, che, nei più avanzati Stati Europei, attenua l’effetto giungla e corruzione del liberismo selvaggio e questa lontananza nei momenti di crisi si fa più evidente. La giustizia sociale è un miraggio e i programmi di rilancio e di ripartenza sono ben lontani dal promuovere un radicale cambiamento. I programmi di ripartenza si assestano sul meno ambizioso e non più facile tentativo di ritornare allo stato di cose preesistente, senza troppi danni e mutamenti e senza allontanarsi troppo dall’idea del mondo mercato e dell’uomo consumatore, bulimico e insoddisfatto. Un mondo nel quale arte e cultura trovano un posto marginale, ai limiti dell’invisibile.
Quanto pensi che le persone cambieranno il loro modo di approcciarsi ad eventi al chiuso nel futuro, il corona virus potrebbe aver cambiato le cose per sempre?
Non penso che siamo di fronte ad un cambiamento permanente. La storia dimostra che le pandemie non hanno modificato in modo definitivo il relazionarsi delle persone, sono convinta che torneremo nei teatri e nelle discoteche e andremo ai concerti in modo spensierato e torneremo ad abbracciarci e a stringerci senza diffidare gli uni degli altri. Forse riprenderemo abitudini igieniche la cui importanza era più chiara alle nostre nonne e alle nostre mamme, che avevano un fare che noi abbiamo considerato maniacale e invece forse dipendeva dalla vicinanza storica a situazioni di emergenza sanitaria.
Al momento non ci sono notizie certe circa la riapertura dei teatri, che l’estate possa in qualche modo dare una spinta ed un ritorno alla “normalità” con gli spazi all’aperto?
La distanza sociale imposta agli spettatori non è un impedimento assoluto per il teatro, per garantirla si possono immaginare soluzioni più o meno attuabili a seconda delle risorse e degli spazi e lo spazio all’aperto può essere una soluzione valida. La distanza fisica imposta agli attori, invece, mi sembra avere sul teatro un impatto sostanziale. In questo periodo sto scrivendo uno spettacolo e proprio non riesco ad immaginare che i protagonisti restino lontani e non si tocchino, se non facendo una forzatura pratica, che non ha a che fare con la logica interna allo spettacolo. Per fare un esempio: mettere in scena Romeo e Giulietta e impedire loro di baciarsi, cercare una soluzione alternativa e simbolica alla fatidica scena del bacio, non è impossibile, ma può diventare talmente evidente che la soluzione trovata sia una risposta al limite pratico, da risultare una forzatura, che precipita il sogno e la finzione nella realtà e fa svanire la magia, soprattutto se lo spettacolo mantiene le caratteristiche della realtà altra e il gioco e la finzione prevedono un’esclusione della realtà oggettiva dalla realtà illusoria. Per fare l’esempio opposto possiamo pensare a Woody Allen che si rivolge direttamente alla telecamera, palesandone la presenza, in quel caso la dimensione reale e quella della finzione hanno un contatto improvviso e di grande effetto e la cosa funziona perché rientra nel disegno del film. Altra cosa importante da considerare è la funzione teatrale della prossemica: la distanza o la vicinanza fisica di due corpi, la loro disposizione nello spazio, i loro movimenti, hanno un significato preciso ed è difficile sospendere questo significato e sostituirlo convenzionalmente con un significato provvisorio, post decreto Covid19. Anche perché la prossemica è solitamente un codice condiviso inconsapevolmente. Ora, se è vero che, oltre ad un codice prossemico universale e culturale condiviso a priori, esiste il codice prossemico suggerito dalla regia, che stabilisce nuovi nessi tra geometrie spaziali e significati, è vero anche che lo spettatore coglie il codice proposto dallo spettacolo e riesce a decifrarlo, solo se viene comunicato in modo chiaro e coerente e non in contrasto sostanziale con i nessi universali e più profondamente sentiti. E, ancora, importante è l’impatto del distanziamento fisico sulla relazione emotiva. Gli individui hanno intorno al corpo una specie di barriera circolare invisibile, definita spazio vitale, più o meno ampia a seconda della tolleranza individuale, delle abitudini sociali, delle relazioni che intercorrono tra gli individui e delle circostanze. Superare la barriera ed entrare in questo spazio significa avvicinarsi molto, significa entrare in una sfera intima, fino al contatto e all’abbraccio. La vicinanza o lontananza dei corpi, tutti i movimenti di avvicinamento e allontanamento e la dinamica di questi movimenti, hanno un significato per chi li vede, ma soprattutto per chi li sperimenta. La distanza fisica ha un impatto sugli attori e la loro relazione. Per gli attori superare la barriera ed entrare in intimità è un presupposto fondamentale, non è possibile immaginare un processo creativo e di gioco teatrale nel quale gli attori non siano diventati intimi. E seppure l’intimità fisica non fosse una condizione imprescindibile per arrivare all’intimità psicologica, essa è una via efficace, la più battuta in tutti i percorsi di formazione dell’attore, in tutti i processi creativi finora sperimentati e in tutte le relazioni umane in genere.
Cosa ne pensi di chi propone spettacoli in streaming via web? La magia del teatro rimane intatta secondo te?
Premetto che proprio uno spettacolo da me scritto e diretto, DER KÖNIG LACHT, è stato replicato a porte chiuse, al Wolfgang Borchert Teather di Münster, il 3 aprile 2020, per le telecamere della WDR, radio televisione tedesca. Gli attori hanno modificato alcuni movimenti per evitare il contatto e ciò è stato possibile, nel caso specifico, senza perdite sostanziali in termini di senso e suggestione. Lo spettacolo è stato registrato, messo in onda e sarà visibile sul sito della radiotelevisione tedesca fino a luglio. Io non ho potuto partecipare a questa operazione, essendo in Italia in lockdown ed ho visto la messa in scena, per questa volta, dallo schermo. Rispetto alla prima, alla quale ovviamente avevo assistito dal vivo, lo spettacolo, come prevedibile, mi è sembrato cresciuto, maturato, e l’assenza di spettatori non ha influito negativamente. La messa in scena non ha perso in termini di intensità, efficacia e qualità, anzi la possibilità di godere dei primi piani ha intensificato il peso di emozioni e parole. Tuttavia c’è da dire che lo spettacolo era andato in scena in presenza del pubblico per la prima volta a settembre e molte altre volte nei mesi successivi, fino alla chiusura dei teatri per l’emergenza. Da qui l’esigenza di una riflessione ulteriore. Quando si prepara uno spettacolo si fanno molte prove. Durante le prove un progetto originario prende forma, si nutre, si definisce sempre più precisamente e in rapporto a quanto accade e nasce dalla relazione tra attori, attori e regista, regista, attori e testo e musiche e suggestioni interne ed esterne e scenografia, luci, maschere, costumi e tanto altro. Le prove sono un processo incredibilmente proficuo. Un concentrato di sensazioni, immagini, informazioni e rivelazioni inattese. Ad un certo punto lo spettacolo è pronto per il pubblico e comincia a non trarre più la stessa mole di energie e arricchimento dalle prove, che possono addirittura diventare controproducenti. A questo punto la messa in scena per il pubblico diventa necessaria e fa sbocciare lo spettacolo, che si rivela in modo più sottile e profondo e non propriamente previsto. Si possono fare mille prove senza pubblico, se sono necessarie, ed è importante che lo spettacolo non nasca prematuramente. Ma il momento della nascita, dopo la lunga gestazione, è la prima in presenza del pubblico e le repliche successive potenziano lo spettacolo come non fanno mille prove di troppo. L’entità pubblico è parte integrante della messa in scena. Il confronto con il pubblico fa venire fuori aspetti e variabili vive imprevedibili. Nonostante vengano rispettate le traiettorie, i tempi, le intenzioni, lo schema, i testi e le musiche, le variabili vive fanno dello spettacolo un evento sempre nuovo. Lo spettacolo è un avvenimento presente, al quale lo spettatore partecipa attivamente, con la presenza viva, l’attenzione, il respiro, la commozione. Mi sembra pertanto di poter dire che solo dopo essere stato replicato per il pubblico, dopo aver attraversato tutte le fasi di realizzazione, lo spettacolo può essere registrato ed essere godibile da uno schermo. Qualora la nascita sia il momento della ripresa, si parlerà non di spettacolo dal vivo, ma di un altro tipo di evento, magari con un simile processo di gestazione, ma con una prospettiva e un piano registico fondamentalmente diversi, con diverse potenzialità e risorse.
Vogliamo chiudere con una domanda più ampia su quelle che sono le tutele messe in campo da questo esecutivo, come operatrice di spettacolo ti sei sentita tutelata? Cosa dovrebbe fare lo stato per non far fallire uno dei fiori all’occhiello di questo paese?
Il nuovo fondo per la cultura istituito in risposta alla crisi, non risponde a nuovi criteri di distribuzione delle risorse, che pertanto saranno, si ampliate, ma gestite dai soliti potentati. Il sistema vigente attribuisce ad enti pubblici e privati, grandi teatri e grandi case di produzione, il compito di favorire l’attività teatrale, affidandogli i finanziamenti più cospicui. Spesso accade che questi enti, invece di svolgere il suddetto compito, si occupino esclusivamente di garantire la distribuzione degli spettacoli di loro produzione all’interno di un circuito di teatri, secondo un sistema di scambi, chiuso, esclusivo ed escludente. Inoltre, in non rari casi, i vertici di questo sistema, sinistramente vicini ai politici che dispongono i finanziamenti, trasformano il compito di favorire l’attività teatrale in potere di elargire favori, da cui deriva il diffuso mal costume del ricatto, del pagamento a nero e del lavoro sottopagato. Diventa pertanto urgente una soluzione per gli esclusi, una soluzione adeguata per tutti i lavoratori dello spettacolo e dell’arte, che vivono una condizione di precarietà e ricatto, sebbene contribuiscano alacremente a tenere viva una cultura alternativa, sottratta alle dinamiche del mercato e del potere. Fin dagli anni 70 viene reclamata la necessità di istituire un sistema di finanziamento e investimento diretto e un reddito per i lavoratori del settore, capace di sottrarli al ricatto degli “intermediari” del finanziamento pubblico. È necessario che l’istituzione di questo reddito tenga conto del peculiare carattere intermittente del lavoro artistico. Tra un progetto e l’altro esiste una fase intermedia tutt’altro che inattiva, una fase di studio e ricerca, che fa parte del processo di produzione del pensiero. È necessario venga istituito un reddito di studio e sperimentazione permanente, per i lavoratori dell’arte e della cultura, capace di garantire loro autonomia, libertà e continuità economica. Questo nuovo reddito dovrebbe assolutamente sostituire l’attuale sussidio di disoccupazione, un istituto anomalo e ingiusto che corrisponde al “disoccupato” un sostegno irrisorio, tanto meno cospicuo quanto meno ha lavorato e guadagnato. Questa anomalia, di un sostegno minore quanto maggiore è la disoccupazione, ci dice di una logica in cui il rapporto Stato individuo è capovolto. La legge considera il lavoratore più o meno “meritevole” di sostegno in base ai contributi versati. La mancanza di lavoro e di opportunità e la conseguente mancata valorizzazione del potenziale umano, non sono considerate una grave responsabilità del Sistema comunità umana, che così tradisce i suoi presupposti e la sua ragion d’essere, ma una responsabilità dell’individuo, che non apporta immediato contributo economico alla comunità. L’istituzione del suddetto reddito è resa ancora più urgente dalla contingenza: con il teatro e tutte le attività culturali ferme o ridotte ad un terzo del loro potenziale, moltissimi lavoratori non hanno lavorato, non lavoreranno, non verseranno contributi e non avranno diritto ad alcun sostegno.
Gli investimenti nel nostro paese non sono sufficienti, poiché non è ben chiaro che la cultura rappresenta una ricchezza assoluta. Se, nel periodo di lockdown, la Merkel in Germania si è rivolta agli artisti sottolineandone “il ruolo fondamentale per il paese”, le parole del presidente Conte rivolte agli artisti “che tanto fanno divertire e appassionare” mi hanno fatto pensare a quanto poco chiara sia in generale la funzione dell’arte. Divertire significa far volgere lo sguardo altrove, mentre l’arte fa volgere lo sguardo dentro e più a fondo nel fenomeno, sottraendolo alla mera apparenza e portandone alla luce le dinamiche profonde. L’arte disvela, non desta passione e interesse, non essenzialmente, fa molto di più, ci sottrae all’illusione di ciò che appare, alla banalità dell’osservazione superficiale ed economica dei fatti, ci libera dagli stereotipi e dai pregiudizi, a cui ci abituano i cronachisti pennivendoli e propagandisti, ci accompagna nel nostro movimento naturale verso la conoscenza e la coscienza, nella costruzione dell’identità tra ciò che siamo e ciò che sappiamo di essere e così ci avvicina alla meta, che sempre si sposta in avanti e contribuisce al progresso umano. L’arte ci nutre e disseta al pari del pane e dell’acqua. Senza l’arte moriamo di sete e fame e ingrassiamo come bulimici consumatori.
Ti ringraziamo per il tempo dedicatoci e come sempre chiudiamo con il nostro motto #staycoolish
Molto interessante! Bravissima Luisa Guarro!👍❤️😘
Grazie Lia per aver letto il nostro articolo, faremo sapere a Luisa Guarro del tuo commento 😀